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martedì 23 gennaio 2024

Renzi, Calenda e la Bonino 

dovrebbero tornare a parlarsi

(commento ad un articolo di Renzo Caputo su Pensalibero del 21 gennaio 2024)

E' una indicazione razionale, quella cioè che si ripropone di salvaguardare quantomeno il minimo comun denominatore di un’area, più che di uno schieramento, che si dibatte tra necessità e marginalità. Però al momento resta una soluzione solo difensiva, mentre questa area di riferimento, non solo per la sua tradizione, avrebbe la potenzialità di esprimere ciò che manca nella politica attuale, la presenza di una forza, anche composita ma riformatrice in grado di essere momento di dialogo e non di contrapposizione.

Infatti quello che lascia interdetti è che, nell’imminenza di una consultazione europea alla quale non interessano le nostre piccole beghe di paese, queste medesime beghe vengano riproposte con la medesima scala e le medesime proporzioni e probabilmente le medesime conseguenze, senza invece domandarsi quale portata potrebbe avere la presenza di una coerente forza liberal socialista anche nella dimensione europea, dove si assiste ad un’incidenza sempre minore della sinistra socialdemocratica tradizionale ed alla necessità anche di una sua evoluzione, nella quale ognuno poi, ferma restando la direzione di marcia, potrà decidere se debba essere più liberale o più socialista.
La cosa rimane ancor più spiacevole quando si considera che il rischio è quello di regalare l’intera rappresentanza della sinistra italiana (o del centro sinistra se si preferisce) ad un partito sbrindellato come il Pd, nel quale si agitano antichi fantasmi (e le attuali vicende internazionali ne sono una chiara indicazione), prove di forza della vecchia classe dirigente, tentazioni grilline e mortificazioni della corrente riformista al punto che la stessa finisce per automortificarsi da sola.
Caputo esorta giustamente i leaderini del potenziale terzo polo riformista ad uscire dai piccoli litigi da scolaretti, ma la mia impressione è che questa consapevolezza sia ben lungi dall’essere acquisita e che ci sia bisogno ancora di un grosso lavoro. Il limite è che, con una certa differenza dall’oggi, in altri momenti alle esigenze strettamente politiche si accompagnavano movimenti culturali che costituivano supporto di opinione e accompagnavano i processi. Ci sarebbe magari un discorso lungo da fare sulle nuove forme di comunicazione che favoriscono più il battibecco che la comprensione, ma il fatto è che questi processi oggi sono molto più difficili e che i movimenti culturali sono più esigui o hanno minor impatto sulla realtà nella quale si vuol agire. È un limite a cui non dobbiamo arrenderci, ma non sarà facile.

mercoledì 12 ottobre 2022

I miei crostini


 

Fare un battuto, possibilmente sul tagliere con una mezzaluna, con un piccola cipolla, o scalogno, carota, ramerino, prezzemolo, abbondante sedano. Mettetelo in un tegame, con un po’ d’olio e quando rosola annaffiare con due dita di vino bianco  secco e sciogliervi mezzo dado vegetale, se piace, sennò salare leggermente.

Quando il soffritto comincia a prendere densità aggiungere una salsiccia tagliata in tre o quattro pezzi, meglio sarebbero, avendole a disposizione, alcune fette spesse di rigatino e cuocere bene. Si può aggiungere anche una strizzatina di pasta d’acciughe, qualche volta lo faccio qualche volta no; anche una breve macinata di pepe se piace, a me sì. Cuocere finché la salsiccia o il rigatino si amalgamano con la base.

A questo punto pulite i fegatini e i cuori e tagliateli in piccoli pezzi. Potendo disporre anche di un fegatino di coniglio sarebbe il massimo. Metteteli nel composto e fatelo cuocere a fuoco lento aggiungendo mezzo bicchiere di vino rosso e regolandovi col sale, tempo di cottura dieci minuti circa.

Lasciar intiepidire e macinare tutto in un frullatore, facendo attenzione che rimanga un composto leggermente granuloso e non una crema o un impasto; se si vuole più rustico si può adoperare la mezzaluna, ma è una fatica.

Rimettere allora al fuoco con mezzo bicchiere di vino rosso e cuocere fino alla riduzione del liquido. Spalmare, ancora caldi, su fette di pane toscano abbrustolito oppure, all’aretina, su fette di polenta fritte.

Si abbinano con del Chianti giovane, non necessariamente classico. Facciamo di Montespertoli oppure Poppiano.

  

martedì 27 aprile 2021

UNA NUOVA PRESENZA LIBERALSOCIALISTA LIMITI, MA ANCHE VALORI

 AVVERTENZA: Mi è tornato alla ribalta, quasi per caso, questo articolo che scrissi per la rivista online pensalibero.it con data di pubblicazione 17 gennaio 2011. Ripeto: 17 gennaio 2011. Dieci anni sono passati. Eppure, pur con l'insorgere di nuove situazioni, grillini per un conto, ristrutturazione e potenziamento della destra per un altro, i problemi della sinistra democratica e riformista sono sempre allo stesso punto. Sarà un caso o sarà un po' anche colpa nostra?


 

 

Provo a ragionare sull’attuale situazione per vedere se mi convinco della necessità di un rilancio dell’iniziativa delle forze socialiste,  liberali e riformiste, area alla quale mi sento di appartenere; e diciamo anche al metodo, ma non di più perché la politica la dobbiamo ancora inventare. Per farlo ci sono ancora da superare diversi limiti.

 

Cominciamo dal primo. Ammettiamo che, almeno in senso culturale, si tratta di un’area abbastanza vasta e dagli incerti confini. E’ invece un’area invece molto più ristretta – non vorrei dire insignificante - dal punto di vista di presenza nell’attuale dibattito politico, sempre che di dibattito politico si possa parlare in questa ormai troppo lunga stagione della cosa pubblica. Più che di tornare ad una nobiltà della politica che non c’è mai stata, l’imperativo è quello di andare oltre questa stagnante volgarità,  ma per ora si tratta solo di un’esigenza di galateo.

 

Abbiamo poi un intralcio di persone: esponenti e componenti più o meno ereditati dalla vecchia politica, che a lungo hanno civettato – quelli che non si sono schierati in maniera organica -  con i poli dominanti di questa seconda repubblica, in maniera quasi sempre acritica, ricevendone in cambio carote, ma più spesso bastonate.

 

C’è anche un problema di spazio fisico, che appare ridursi in presenza dei tentativi di costituire un terzo polo, a livello parlamentare con le forze già esistenti ed i transfughi degli altri schieramenti, ma anche a livello civile con le prediche e le inespresse intenzioni politiche dei Montezemoli di turno.

 

Se poi guardiamo al PD, che per alcuni potrebbe sembrare un’area naturale di approdo critico, potremmo dire che lì dentro c’è di tutto, in maggiore o minore misura, tranne che l’anima laica, completamente inespressa; e la cultura riformista, che dopo la caduta del muro avrebbe dovuto prendere il sopravvento, stenta a farsi largo tra alcuni massimalismi più ostentati che reali, le pratiche gestionali e le derive cristiano-sociali, espressione di una cultura solidarista, ma non necessariamente e convintamente riformiste o riformatrici.

 

Si era rivolta l’attenzione anche – e con un certo favore - all’iniziativa di Vendola, quando sembrava proporre un progetto per  costituire una sinistra non conformista, liberata dal marxismo immaginario dei Ferrero e dei Di Liberto, però lo stesso leader pugliese non sembra riesca a tradurre in proposta politica l’indubbia simpatia ed anche il seguito che si è procurato, sballottato come si ritrova tra primarie negate e vecchie suggestioni populiste.

 

Allora non ci rimane che ripensare i motivi della nostra presenza. E ne abbiamo dette, su Pensalibero e nei nostri convegni, però siamo sempre rimasti al palo e mi sono quasi convinto del fatto che ci culliamo troppo nelle ragioni del passato, e peggio ancora ciascuno nella sua tradizione personale. Questo è il risultato anche di parole d’ordine che a noi sembrano mobilitanti, ma che alle componenti sociali che vogliamo interessare ed anche alle giovani  generazioni dicono poco o nulla; specialmente per queste ultime che partono da condizioni di vita, relazioni sociali e forme di comunicazione del tutto diverse.

 

E’ vero però che la forma di cultura politica che ci accomuna, una volta spogliata dei limiti e delle contraddizioni che prima ho cercato d’illustrare, possiede valori che vanno al di là sia della tradizione che delle forme attuali e questo è il concetto che sta a noi diffondere. Perché ciò sia possibile è però necessario che questa stessa cultura divenga prevalente ed ottenga consensi non solo presso i nostri ristretti circoli, ma presso gli ambienti che nell’ambito economico, sociale ed intellettuale oggi in Italia formano opinione e determinano comportamenti. Da questi ambienti, anche quelli più aperti ed avanzati, più che esclusi siamo non considerati e potremo recuperare solo se riusciremo a far passare il messaggio che occorre, per usare l’espressione del nostro direttore, introdurre un elemento innovatore nel sistema e che questo elemento può essere solo una forza unica d’ispirazione laica e liberalsocialista.

 

Silla Cellino

mercoledì 16 ottobre 2019

Il lavoratore in aspettativa sindacale


Gestione lavoristica e contributiva dell'aspettativa  nel settore privato

 
Nell’ambito generale dei diritti spettanti ai lavoratori in materia di permessi e di aspettative, particolare rilievo assume quella parte delle relazioni di natura sindacale, in virtù delle quali il lavoratore si trova nella necessità di dover disporre del proprio tempo, in sostituzione di quello dedicato all’attività lavorativa, per poter adempiere ai compiti cui è tenuto per effetto di un incarico ricevuto, come nel caso di cui ci occupiamo, di natura sindacale.
Le legge disciplina tale eventualità facendone esplicito oggetto nella L. 300/70, cosiddetto statuto dei lavoratori, al cui art. 31 si prevede che, oltre ai lavoratori eletti in assemblee rappresentative, anche a coloro che siano chiamati a ricoprire cariche in ambito sindacale a livello provinciale e nazionale venga riconosciuto il diritto ad essere collocati, a richiesta, in aspettativa non retribuita per tutta la durata del loro mandato, così generalizzando senza distinzioni tra rapporto di lavoro pubblico e rapporto di lavoro privato. Con Legge 724/94, art. 22 comma 39 viene precisato che la succitata norma della legge 300 s’interpreta autenticamente nel senso della sua applicabilità ai dipendenti pubblici eletti nel Parlamento nazionale, nel Parlamento europeo e nei consigli regionali. Peraltro la contrattazione collettiva del settore privato fa riferimento di norma allo stesso principio, potendosi perciò parlare di un esercizio generalizzato in questo senso.
 
Facciamo preliminarmente questa distinzione tra aspettativa da un impiego pubblico e quella di un lavoratore del settore privato perché nel settore privato il lavoratore in aspettativa per ricoprire incarichi di natura sindacale non percepisce per quel periodo retribuzione da parte del datore di lavoro, mentre nel settore pubblico l’aspettativa viene normalmente retribuita sotto forma di distacco. Brevemente, per il settore pubblico, che comunque non è in argomento in questa occasione, basterà aggiungere che siamo in presenza di un iter che, partendo dalla fissazione di un contingente massimo di distacchi sindacali, ripartisce detti distacchi tra le organizzazioni maggiormente rappresentative determinate con i criteri ormai abituali. Condizione perché il lavoratore possa usufruire dell’aspettativa/distacco è che si tratti di un lavoratore a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che part-time.
Nel settore privato partiamo da alcuni assunti, oltre quello già citato dell’estensione di cui alla Legge 300. Il primo di questi assunti è che il lavoratore che è chiamato ad assumere incarichi di natura sindacale a livello nazionale oppure anche regionale o provinciale[1] ha diritto ad esser collocato in aspettativa, su iniziativa del lavoratore che ne faccia eventualmente richiesta, senza che il datore di lavoro possa contrastare la richiesta stessa. Si tratta di un diritto e non di un obbligo soggettivo; pertanto non sconta l’automatismo ed è il lavoratore che deve farne richiesta al datore di lavoro. L’aspettativa può essere fruita in misura totale o anche parziale purché la misura sia preventivamente determinata o anche successivamente modificata su richiesta incondizionata del lavoratore. Il rifiuto da parte del datore di lavoro di concedere l’aspettativa e l’eventuale sanzione per assenza ingiustificata costituiscono comportamento antisindacale, come in merito ha confermato anche la Corte di Cassazione.[2]
 
Il secondo assunto è l’insorgenza a favore del lavoratore del diritto alla contribuzione figurativa. In ciò l’aspettativa per incarichi sindacali, ma anche per quelli politici, si differenzia dall’aspettativa per motivi privati, di studio e/o familiari o altro, durante la quale il periodo di congedo non è computato nell’anzianità di servizio o ai fini previdenziali, restando al lavoratore la possibilità di procedere al riscatto o al versamento dei contributi calcolato secondo i criteri della prosecuzione volontaria[3]; nel caso in questione invece il lavoratore in aspettativa del settore privato (ma si ritiene anche del terzo settore) viene ad essere collocato in una diversa posizione, la quale  dà titolo, sempre a norma della legge 300/1970, all’ accreditamento figurativo per il periodo interessato nella gestione previdenziale per la quale il lavoratore era stato iscritto all’atto del collocamento in aspettativa.
 
Condizione necessaria è che sia in atto un rapporto che faccia riferimento ad una effettiva prestazione di lavoro subordinato soggetta all’obbligo assicurativo e che il  datore di lavoro adotti un provvedimento di collocazione in aspettativa non retribuita nei confronti del lavoratore in questione. E’ pacifico che si tratta di una situazione diversa rispetto al rilascio di permessi per lo svolgimento dell’attività sindacale.
E’ necessario altresì che la carica o la funzione cui è chiamato l’assicurato rispondano alle caratteristiche previste dalla legge 300, ossia carica sindacale direttiva, espletata anche in qualità di membro di un organismo direttivo fino al livello provinciale e che comunque questo tipo di attività non possa essere ricompreso nell’ambito di una prestazione di lavoro a carattere subordinato.
Per quanto riguarda inoltre la misura dell’accredito figurativo e cioè la misura della contribuzione riconosciuta ai fini assicurativi, occorre far riferimento alla categoria ed alla qualifica professionale posseduta dal lavoratore all’atto dell’ingresso in aspettativa, con successivi adeguamenti conseguenti alla dinamica sindacale ed alla carriera prevista dalla dinamica stessa ed esclusione di quanto non collegato o collegabile a tale dinamica, quali ad esempio competenze accessorie legate alla produttività o a straordinari forfetizzati. L’Inps precisa altresì che il valore retributivo su cui commisurare la contribuzione figurativa è determinato dalla media delle retribuzioni percepite in costanza di lavoro nell’anno solare di riferimento.
Discorso a parte, infine, per quanto riguarda l’obbligo di corresponsione del contributo all’SSN, Servizio sanitario nazionale. Questo è dovuto dal lavoratore collocato in aspettativa in misura commisurata all’indennità che percepisce in relazione alla carica, in qualità e nella misura di lavoratore dipendente con altri redditi.
 
Veniamo ora all’iter che deve essere seguito per la gestione di tale istituto. In primo luogo occorre presentare la domanda di accredito della contribuzione figurativa, che l’interessato deve effettuare ogni anno, a partire dal 1° gennaio  e fino alla scadenza del 30 settembre dell’anno successivo a quello del periodo di aspettativa richiesto, con procedura telematica su piattaforma predisposta dall’Inps; la domanda deve essere rinnovata ogni anno, con riferimento all’anno precedente (solare dice l’Inps, ma più propriamente dovremmo dire di calendario) anche per periodi già predeterminati di aspettativa ultrannuale[4]. Dal 1° gennaio 2018 la domanda può essere presentata, allegando la documentazione a supporto, esclusivamente per via telematica, direttamente sul sito dell’Inps, oppure attraverso un apposito Contact Center telefonico istituito dallo stesso Inps, oppure infine per mezzo dei patronati o di altri soggetti abilitati all’intermediazione con l’Inps, tra i quali si ritiene possano essere ricompresi i consulenti del lavoro. La data stabilita per il termine di scadenza è perentoria a pena di decadenza dal diritto, ma solo agli effetti della presentazione della domanda; infatti l’Inps ha precisato che l’interessato ha la possibilità di integrare la presentazione con la necessaria documentazione anche dopo il termine del 30 settembre, fatto salvo che alla domanda potrà esser dato corso solo al completamento della documentazione[5], ma anche che l’inizio della contribuzione figurativa sarà datato a partire dal momento della sospensione dell’attività lavorativa.
La documentazione a supporto consiste in primo luogo nell’atto formale, comprensivo della data di decorrenza, con cui l’interessato è stato chiamato a rivestire l’incarico sindacale; sarà opportuno anche dimostrare che tale incarico (rectius carica sindacale) sia prevista dallo statuto sindacale e quindi è da ritenersi utile allegare lo statuto dell’organizzazione. Inoltre sarà necessario presentare la prova dell’atto di collocamento in aspettativa, ossia l’attestazione datata e sottoscritta dal datore di lavoro, antecedente la data d’inizio dell’aspettativa stessa. Il sito dell’Inps fornisce un modello di tale attestazione, da cui si ricava che le indicazioni da fornire sono la data di assunzione del lavoratore, il contratto di lavoro applicato nonché il livello d’inquadramento del lavoratore interessato, il provvedimento adottato e gli eventuali provvedimenti di proroga  ed infine la causa dell’aspettativa, nel caso specifico la carica sindacale che è all’origine del distacco. In tale provvedimento è necessario altresì che sia specificato che il richiedente non è un lavoratore che sta scontando ancora il periodo di prova o, se il periodo di prova non fosse stato previsto al momento dell’assunzione oppure fosse inferiore ai sei mesi, che abbia svolto almeno sei mesi di lavoro effettivo. Quella del periodo di prova è comunque una nozione delicata, nel senso che l’Inps pone molta attenzione alla verifica che tale periodo sia stato effettivamente svolto e compiuto, sia tramite l’acquisizione della contrattazione collettiva relativa al caso specifico, sia con la verifica che il periodo di prova, anche se eventualmente previsto di durata superiore ai sei mesi, sia stato integralmente compiuto[6]; o se inferiore ai sei mesi, che l’aspettativa sindacale decorra dopo un periodo di sei mesi effettivamente lavorato. Tali condizioni, pur dovendo essere contenute nell’attestazione del datore di lavoro, sono sempre soggette a verifica da parte dell’Inps.
Concludiamo queste note accennando sinteticamente agli adempimenti da parte del datore di lavoro per la corretta compilazione dei flussi Uniemens. A seguito della concessione dell’aspettativa non retribuita per motivi sindacali, per il lavoratore in questione non deve essere presentata alcuna denuncia corrente, salvo indicare, nella denuncia relativa all’ultimo periodo di servizio prestato, il codice 40, corrispondente alla causale “Aspettativa non retribuita per motivi sindacali”. Qualora nel corso del periodo di aspettativa il lavoratore dovesse percepire arretrati relativi a periodi precedenti l’aspettativa stessa, questi dovranno essere comunicati con l’elemento V1 causale 1 relativo all’ultimo periodo precedente l’astensione e sempre con il codice 40. Particolari modalità invece vanno adottate nel caso in cui l’aspettativa sia richiesta e concessa/adottata in forma part-time: in questa evenienza gli elementi Imponibile e Contributo dovranno essere indicati nella misura assegnata, in proporzione al part-time adottato, indicando anche nell’elemento <PercAspettatival300_70> la quota di aspettativa non retribuita per motivi sindacali, valorizzata in millesimi, di cui usufruisce il lavoratore.


[1] Si diceva allora anche comprensoriale, ma gli attuali orientamenti culturali in fatto di decentramento e riaccorpamento amministrativo hanno fatto perdere importanza a questo livello
[2] Cassazione 2 agosto 2011 n. 16865.
[3] Risposta del Ministero del Lavoro a quesito n. 25 del 30 marzo 2016
[4] Così si esprime l’Inps nel Messaggio n. 3499 del 08.09.2017, ricollegandosi  all’art. 3 del citato D.Lgs. 564/1996. Tuttavia è da notare che nella pagina del sito Inps dedicata all’argomento, dopo aver ricordato la scadenza del 30 settembre dell’anno successivo a quello nel quale ha avuto inizio l’aspettativa, si dice testualmente che “la domanda si intende tacitamente rinnovata ogni anno salvo espressa manifestazione di volontà contraria”.
[5] Messaggio Inps n. 2653 del 11.07.2019
[6] Anche con riferimento alle assenze dal lavoro che abbiano eventualmente sospeso il decorso del periodo di prova.

mercoledì 19 giugno 2019

Triton, il virus più pericoloso del mondo, s’interessa delle rete elettrica americana


Quanto agli Stati Uniti, essi s’intromettono aggressivamente nelle infrastrutture russe. È veramente fredda questa guerra?


Nel marzo 2019 si parlava della storia della scoperta di Triton, presentata da diversi autori della cibersicurezza come la minaccia informatica più nefasta finora conosciuta. Insieme di virus e di malware concepito su misura da un gruppo di hackers denominati Xenotime, attacca le infrastrutture industriali ed energetiche di prima importanza: industrie chimiche o petrolchimiche, unità di trattamento delle acque, centrali elettriche.
Triton fu casualmente scoperto nel corso di un’intrusione nel complesso petrolchimico Petro Raghib in Arabia Saudita, in cui aveva fatto saltare le chiavi di sicurezza destinate ad impedire una catastrofe in caso di disfunzioni. In pratica, con qualche clic gli hackers avrebbero senza dubbio potuto provocare esplosioni ed emissioni tossiche, che avrebbero comportato danni umani e tecnici di  considerevole dimensione.
Sappiamo che Xenotime non s’è fermata a questa prima azione eclatante. Nell’aprile 2019 la società specializzata in cybersicurezza FireEye ha dichiarato di essere stata ingaggiata da un secondo bersaglio, che ha rifiutato di dire quale fosse, per far pulizia. Da diversi mesi la società Dragos, esperta nel medesimo campo, spiegava di essere a conoscenza che gli hackers, presumibilmente russi e forse legati al Cremlino, s’interessavano da vicino anche a certe strutture europee o americane.
Non si sbagliavano: Dragos ha affermato di aver scoperto, in collaborazione con l’E-ISAC (Electric Information Sharing and Analysis Center) che Xenotime era andata a frugare attorno alla rete elettrica americana. Secondo Dragos, non meno di venti differenti strutture, ripartite sull’intera catena di produzione e di distribuzione, sarebbero state scansite dai pirati. Il loro obiettivo? Cominciare a misurare la temperatura, capire il sistema, trovare le possibili falle o porte nascoste per eventualmente depositare più tardi piccole bombe virali e poi lanciare attacchi veri e propri. Pare che gli hacker russi siano i migliori del mondo.
Può essere un caso? Il 15 giugno il New York Times segnalava da parte loro che gli Stati Uniti e le loro agenzie specializzate si mostrerebbero sempre più minacciosi nei confronti delle installazioni elettriche russe “con il posizionamento nel sistema russo di malware potenzialmente paralizzanti, con una profondità e un’aggressività che non si era mai vista finora”.
In una sua conferenza stampa il consigliere della sicurezza nazionale  John R. Bolton ha fatto capire che le intrusioni americane erano una risposta alle ingerenze russe nelle elezioni di medio termine del 2018. Secondo molti analisti si tratta innanzi tutto di un segnale lanciato a Vladimir Putin per avvertirlo che anche gli Stai Uniti sono pronti a reagire in caso di attacco cibernetico. Come nota il New York Times, gli attacchi digitali tra le due nazioni rivali sono ben lungi dall’essere una novità, con la Russia che dimostra regolarmente l’alto potenziale maligno delle sue squadre di hacker.
Sembra peraltro che, da una parte e dall’altra, ci si prepari sempre più attivamente ad attacchi e risposte molto concrete. Per gli Stati Uniti anche l’Iran potrebbe costituire un bersaglio mirato.

Thomas Burgel su Wired, riprodotto in Slate del 19 giugno 2019
(traduzione dal francese di Silla Cellino)



lunedì 7 gennaio 2019

Rimani malato all’estero?



Le cose da fare te le dice una guida dell’Inps
pubblicato su Consulenza, la rivista di Buffetti il 9 gennaio 2019
Possono essere diverse le occasioni, al giorno d’oggi, per cui un cittadino italiano si reca all’estero, vuoi per lavoro, vuoi per turismo, vuoi per altre necessità, anche di carattere familiare, per soggiorni di durata variabile, più o meno lunghi. Può accadere anche che ci si possa recare fuori dai nostri confini per sostenere cure per malattia o altre indisposizioni. La legge italiana e la prassi amministrativa sono più volte intervenute individuando i casi che si possono presentare nell’eventualità che durante il soggiorno all’estero insorga una malattia o altro evento invalidante, che non consentano una normale attività, tanto lavorativa quanto di fruibilità del periodo feriale.
Le disposizioni che regolano la certificazione ed il trattamento di malattia dei cittadini italiani all’estero sono varie, a seconda che  il soggiorno riguardi situazioni lavorative oppure turismo o altre cause non legate al lavoro. Nel caso di lavoratori temporaneamente occupati all’estero esiste una procedura ormai consolidata per il caso che il lavoratore sia dipendente da aziende italiane operanti in paesi dell’Unione Europea oppure disciplinati da convenzioni bilaterali con l’Italia. In questa sede ci occupiamo però più diffusamente di chi si trovi all’estero e basta e che, durante il suo soggiorno, incorra in una malattia fuori dai confini nazionali. Anzi se ne occupa una guida informativa  che l’Inps ha diffuso recentemente sull’ argomento.
Viene innanzi tutto ribadito il principio, già noto, che il cittadino italiano che temporaneamente si trovi all’estero abbia comunque diritto, in caso di malattia intervenuta, alle prestazioni economiche previste dalla normativa italiana, a condizione, naturalmente, che sia un lavoratore titolare di una posizione previdenziale. Però perché questo diritto possa essere effettivamente esercitato è necessario che si registrino alcune condizioni.
In primo luogo e in ogni caso, la certificazione medica. È intuitivo che verrà rilasciata da un medico del paese dove l’interessato si trova nel momento in cui l’impedimento insorge, ma è abbastanza evidente anche che potremmo essere, anzi sicuramente saremo, in una situazione legislativa e di prassi che dovremo adattare alle regole in uso nel nostro paese per poter aver diritto alle prestazioni relative al temporaneo stato d’ incapacità lavorativa. È chiaro che se l’interessato sta soggiornando all’estero per un periodo di ferie lo stato di malattia interrompe le ferie, non solo, ma il medesimo avrà diritto alle prestazione previdenziali di malattia alla stessa stregua di un evento che si verifichi nel nostro paese. È altrettanto chiaro che lo stato di malattia decorrerà dal giorno in cui sarà stato dichiarato dal medico, per cui sarà opportuno che l’attestazione d’incapacità lavorativa venga rilasciata il primo giorno dell’evento. L’Inps ricorda anche che tale certificazione, che comunque  sarà redatta nel rispetto della legislazione del paese in cui si verifica l’evento, dovrà contenere i dati essenziali richiesti dalla normativa italiana, ossia (riporto testualmente dalla pubblicazione Inps) intestazione, dati anagrafici del lavoratore, prognosi, diagnosi d’ incapacità al lavoro, indirizzo di reperibilità, data di redazione, timbro e firma del medico. Da sottolineare l’importanza dell’indirizzo di reperibilità perché, anche se l’interessato si trova all’estero, possono essere effettuate visite di controllo per accertare l’effettività dell’impedimento e lo stato d’incapacità al lavoro.
Ci sono però, per oggettive situazioni, modalità diverse a seconda che l’evento insorga in un paese dell’Unione Europea, oppure in una nazione che non ne fa parte; e anche in questo secondo caso bisogna distinguere se il cittadino caduto ammalato si trova in una nazione che abbia stipulato accordi o convenzioni di sicurezza sociale con l‘Italia oppure no. Ad ogni modo però, la regola del primo giorno d’insorgenza della malattia per ottenere il certificato medico non muta.
Nella prima eventualità (impedimento insorto in un paese facente parte dell’Unione Europea) occorre rifarsi alle disposizione comunitarie, le quali prevedono l’ applicazione della normativa del paese d’origine. Perciò nel nostro caso, il cittadino lavoratore italiano che cada ammalato oppure subisca un infortunio durante un soggiorno in un paese dell’Unione dovrà rivolgersi ad un medico del paese che lo ospita, farsi rilasciare il certificato e trasmetterlo entro due giorni alla sede Inps di competenza, nonché nello stesso termine al datore di lavoro. È intuitivo che l’incombenza è a carico suo e non del medico, che non ha rapporti col nostro servizio sanitario nazionale. L’onere della traduzione del certificato, che sarà presumibilmente rilasciato nella lingua del paese ospitante è a carico dell’Inps[1]. Nulla si dice invece in proposito per la copia destinata al datore di lavoro, che dovrà evidentemente provvedere alla traduzione per conto proprio.
Più complessa invece risulta la procedura se il cittadino italiano cade ammalato in un paese non facente parte dell’Unione Europea, ma in questo caso occorre distinguere se si tratta di un paese  con cui siano stati stabiliti accordi o convenzioni bilaterali di sicurezza sociale oppure no. Entra in gioco infatti l’istituto della legalizzazione, che consiste, come spiega la circolare Inps n. 136 del 25 luglio 2003, nell’attestazione fornita dall’ autorità diplomatica o consolare operante nel territorio estero interessato, che il documento rilasciato dal medico è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali; tale attestazione integra la conformità all’originale della traduzione effettuata dal traduttore abilitato. Tale legalizzazione, che come abbiamo visto non viene richiesta se l’assenza dal lavoro o l’interruzione delle ferie è causata per un evento accaduto in un paese UE, non è ritenuta necessaria neppure per quei paesi che abbiano stipulato la convenzione bilaterale di cui sopra; la circolare fornisce anche un elenco non esaustivo di questi paesi e precisamente Argentina, Bosnia-Erzegovina, Brasile, Jersey e Isole del Canale, Macedonia, Montenegro, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Serbia, Tunisia, Uruguay e Venezuela. Resta peraltro inteso che l’esistenza della convenzione bilaterale equipara di fatto tali paesi, per questa specifica funzione, ai paesi dell’Unione Europea.
L’istituto della legalizzazione invece deve operare necessariamente per tutti i paesi extra Ue con i quali l’Italia non abbia stipulato accordi o convenzioni bilaterali. C’è da considerare tuttavia che, fermo restando l’ obbligo per il cittadino italiano interessato di trasmettere all’Inps e al datore di lavoro la certificazione semplice entro due giorni dal rilascio, i tempi della legalizzazione sono quasi certamente più lunghi e pertanto non viene fissato un termine temporale di scadenza, potendo anzi il lavoratore stesso presentare la certificazione legalizzata in un momento successivo al rientro oppure per via epistolare, restando inteso che l’Inps potrà corrispondere l’indennità solo a presentazione avvenuta. Lo stabilisce sempre la citata circolare 136.
Esiste però un’eccezione di carattere agevolante anche a questa regola e riguarda i rapporti con i paesi aderenti alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, che sono precisamente in numero di 76, tra cui, maggiormente significativi per le relazioni col nostro paese, Albania, Australia, Cile, Cina popolare, Russia, Filippine, Giappone, India, Israele, Marocco, Messico, Nuova Zelanda, Corea, Turchia, Ucraina ed anche Stati Uniti d’America. Infatti, per eventi di morbilità che interessino il lavoratore italiano in uno di questi paesi non viene richiesta una legalizzazione piena, a condizione che la certificazione presentata rechi la cosiddetta apostille.
Che cos’è questa apostille? Si tratta di un termine francese, che tradotto in italiano vuol dire semplicemente postilla, ma che nel linguaggio internazionale assume un significato più complesso, nel senso che definisce un istituto giuridico di convalida, da parte di un’autorità competente, dell’ autenticità di un atto pubblico o anche tra privati. In particolare l’Inps nella guida di cui trattiamo la definisce “un tipo di legalizzazione semplificata che certifica l’autenticità della firma, la qualità del firmatario e l’autenticità del sigillo o del timbro apposto”. In termini pratici, affinché la certificazione medica sia da intendersi come legalizzata non sarà necessario recarsi presso la rappresentanza diplomatica italiana, ambasciata o consolato, ma sarà sufficiente che questa sia validata da un’autorità interna dello stato in cui la circostanza si sia verificata. In generale ogni singola convenzione definisce e richiama le specifiche autorità autorizzate a questo scopo, che sono sempre di derivazione pubblica o svolgenti funzioni pubbliche, come avviene in qualche caso per i notai, per esempio in Argentina.
La guida dell’Inps, infine, esamina la possibilità che ci si possa recare all’estero anche nel corso di una malattia, come può avvenire ad esempio nel caso l’ammalato abbia bisogno di cure o di soggiorni curativi da rendersi o svolgersi in luoghi particolari al di fuori dei nostri confini, ma anche indipendentemente da queste necessità. In frangenti di questo tipo sarà necessario per l’ interessato, pena la perdita del diritto alla tutela previdenziale, darne comunicazione preventiva all’Inps, affinché l’istituto stesso sia in grado di valutare, anche a mezzo di apposita visita ambulatoriale, se il soggiorno possa recare nocumento al regolare decorso della malattia, anche al fine di evitare rischi di complicazioni o di aggravamento. Con l’avvertenza di comunicare preventivamente l’indirizzo estero a cui l’interessato può essere reperibile per ogni necessità. Visite di controllo incluse.



[1] Ne fa menzione l’Inps con messaggio n. 28978 del 3 dicembre 2007, nel quale si afferma che, per quanto riguarda la certificazione medica da esibire all’Istituto in caso di incapacità temporanea al lavoro, i cittadini comunitari, conseguentemente al principio di non discriminazione, non hanno l’onere di far pervenire la certificazione medica in lingua italiana; di conseguenza l’onere grava in capo alle sedi dell’Inps, che utilizzeranno i competenti uffici individuati presso ogni regione.

giovedì 11 gennaio 2018

Start-up innovative: a che punto siamo

edizione integrale dell'articolo, pubblicato sulla rivista on-line 
Consulenza, ed. Buffetti  del 18 gennaio 2018, con qualche semplificazione 



Forse è ancora presto per poter giudicare se le start-up innovative, così come introdotte dall’art. 25 del DL 179/2012 convertito con Legge 221/2012 siano arrivate ad un punto o ad un livello di diffusione, di efficienza e di risultati da poter essere considerate ormai adulte o se lo strumento abbia bisogno di adattamenti alle attuali dinamiche della società e del mercato[1], però può essere utile ricordarne le caratteristiche, dopo che, dalla loro istituzione si sono vissute certe esperienze e verificati adattamenti legislativi ed emissione di prassi.

Di quanto previsto dalla legge del 2012, se non proprio esaurientemente, quanto meno diffusamente avevamo già parlato in occasione della nascita di questa nuova figura societaria e operativa[2], però la situazione al momento attuale ha registrato qualche aggiustamento di cui si deve dar conto, quindi riassumiamo le caratteristiche dell’istituto così come ci sono state consegnate dalla legge istitutiva e conservano ancora la loro validità ed attualità accennando poi alle modifiche/integrazioni che si sono nel tempo succedute.

Iter costitutivo semplificato

La start-up innovativa è una particolare forma imprenditoriale, da costituirsi esclusivamente sotto forma di società di capitali tra quelle attualmente previste dal codice civile, società per azioni, società a responsabilità limitata, anche semplificata o giovanile, società cooperativa; è ammessa anche la costituzione sotto forma di societas europaea, come da legislazione comunitaria. 

Prima condizione per il riconoscimento dello status di start-up innovativa è che l’oggetto sociale esclusivo consista nello sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e/o servizi ad alto valore tecnologico. Altri requisiti  erano e permangono che la società, che ha sede principale di affari e interessi in Italia, sia di nuova costituzione e neppure derivante da operazioni straordinarie come fusione o scissione oppure cessione di azienda o ramo della stessa; in alternativa può essere stata costituita, sempre ex novo, da non più di 60 mesi[3]; infine il valore della produzione annua non deve superare i cinque milioni di euro. Non è più richiesto, come era in origine, il requisito che la maggioranza del capitale sociale e del diritto di voto in assemblea sia detenuto da persone fisiche; questa disposizione infatti è stata soppressa già a partire dall’anno successivo e precisamente con la legge 99/2013, di conversione del Decreto legge 76/2013.

Sempre per quanto riguarda la costituzione sono state introdotte successivamente importanti e sostanziali semplificazioni. Infatti, con il Decreto Legge 3/2015, convertito con Legge 33/2015 e successivamente regolamentato con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 17 febbraio 2016, in alternativa alla tradizionale e sempre valida modalità assistita da notaio, viene prevista anche, ma solo per questa particolare forma di società da iscrivere nella sezione speciale delle start-up, una procedura più immediata con l’iscrizione diretta presso la Camera di commercio interessata per territorio attraverso l’utilizzo a titolo gratuito di un’apposita piattaforma dedicata; la semplificazione vale anche  per eventuali successive modificazioni dell’atto costitutivo. Procedendo con questa modalità l’atto costitutivo e lo statuto sono redatti in forma esclusivamente informatica e corredati dalla firma digitale di ciascun sottoscrittore o dell’unico sottoscrittore in caso di società unipersonale, disponendo altresì che un atto sottoscritto in maniera diversa non sia iscrivibile nel registro delle imprese. La procedura può essere avviata alternativamente in due maniere: o tramite gli uffici della camera di commercio competente per territorio e in tal caso l’iscrizione alla sezione speciale delle start-up avviene contestualmente all’iscrizione nel registro delle imprese; oppure direttamente con procedura informatica da parte degli interessati, ma, adottando questa seconda modalità, l’iscrizione nel registro delle imprese avviene provvisoriamente, in attesa della verifica dei requisiti per essere considerate start-up innovative con conseguente iscrizione alla sezione speciale. Secondo i dati Unioncamere la semplificazione delle procedure ha contribuito in maniera apprezzabile alla diffusione di questo tipo di società, almeno dal punto di vista numerico.

Si aggiunge per completezza d’informazione che il ricorso presentato presso il TAR del Lazio dal Consiglio nazionale del notariato avverso tale procedura è stato oggetto di una recente sentenza dello stesso Tribunale adito, con la quale si stabilisce che è conforme al diritto comunitario la previsione di un atto costitutivo e di statuto della società che non rivesta la forma dell’atto pubblico, se la legislazione prevede al momento della costituzione un controllo preventivo, amministrativo o giudiziario, tenendo conto che queste verifiche sono demandate all’ufficio del registro delle imprese nel procedimento d’iscrizione. Di contro, lo stesso TAR del Lazio accoglie la doglianza notarile su quella parte del decreto ministeriale che consentiva l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese alla società eventualmente cancellata dalla sezione speciale per motivi sopravvenuti, il che avrebbe avuto come conseguenza la presenza nella sezione ordinaria di una società non costituita per atto pubblico[4]; annulla pertanto l’art. 4 del DM del 17 febbraio 2016, nonché il terzo comma dell’art. 5, in quanto limitativo delle funzioni notarili nel caso in cui, comunque, gli atti fossero redatti per atto pubblico.

Oltre le operazioni di costituzione, alcuni aggiustamenti sono stati introdotti anche per le condizioni di operatività, soprattutto in materia di requisiti essenziali, ma anche per quanto riguarda le agevolazioni. Si ricorderà che i requisiti essenziali erano tre, dei quali era richiesto il possesso di almeno uno, ma non ovviamente con esclusione degli altri. Originariamente le spese per ricerca e sviluppo dovevano costituire almeno il 30% del maggior valore tra costo e valore della produzione, mentre adesso questo rapporto viene ridotto al 15%. Quanto alle caratteristiche della forza lavoro viene previsto ora che almeno due terzi degli occupati (dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, ma per quanto riguarda i collaboratori vedi più appresso) siano in possesso di laurea magistrale oppure – in alternativa – che almeno un terzo della forza lavoro stessa sia costituita da dottorandi, dottori di ricerca o ricercatori con tre anni di esperienza in attività di ricerca, mentre in precedenza la condizione richiesta era solo per il personale altamente qualificato nella ricerca con i requisiti accademici necessari, che doveva costituire il 30% della forza lavoro. Permane invece la condizione di avere la titolarità o la licenza di almeno una privativa industriale direttamente afferente all’oggetto sociale. Come già detto, resta all’uopo comunque sufficiente, la condizione richiesta nel precedente assetto, ossia il possesso di almeno uno di questi tre requisiti.

Il lavoro nella start-up innovativa

Già, a proposito di requisiti, per quanto riguarda quello relativo alla forza lavoro è opportuno accennare ad alcune situazioni che vengono a modificarsi per effetto di disposizioni legislative nel frattempo intervenute. Per queste in primo luogo saranno da valutare in materia di collaboratori le conseguenze della soppressione dell’art. 61 e connessi del d.lgs. 276/2003 e quanto invece lascia in piedi il jobs act in materia di collaborazioni coordinate continuative. Pertanto è da ritenersi che l’originaria stesura della legge, che prevedeva  tra le condizioni di operatività la presenza di occupati, anche in veste di collaboratori, con le caratteristiche poco sopra descritte, debba essere ora intesa nel senso che i collaboratori sono solo quelli desumibili dalla lettura dell’art. 409 del codice di procedura civile. Possiamo chiederci a questo proposito se anche gli amministratori che partecipano direttamente all’attività d’impresa e che sono forniti dei titoli previsti possano essere considerati ai fini del soddisfacimento dei requisiti richiesti dalla legge. La risposta è affermativa, a seguito del chiarimento fornito dal Ministero dello Sviluppo economico[5]; dubbi invece possono sorgere relativamente ai lavoratori con partita Iva, fenomeno esistente e potenzialmente valorizzabile, ma poco accettato a livello di controlli e di accertamento. Sotto questo profilo è istruttivo che nelle relazioni annuali al Parlamento del Ministero dello sviluppo economico il computo delle presenze relative a questa categoria venga esplicitamente escluso[6].

È venuto poi a modificarsi il regime delle assunzioni a tempo determinato. Resta fermo che i dipendenti assunti con questa modalità rientrano a pieno titolo nel computo ai fini del riconoscimento dello status di start-up, ma se prima l’agevolazione consisteva nella non esistenza dell’obbligo di dover indicare la causale, adesso per effetto del jobs-act quest’agevolazione non ha più senso, però viene consentito alle start-up innovative di non soggiacere per questo tipo di assunzioni al limite del 20% della forza lavoro, nonché, in caso di eventuali rinnovi, di poter prorogare il contratto senza soluzioni di continuità, superando cioè l’ordinario obbligo di stop and go tra un contratto e l’altro. In tema di benefici invece deve intendersi confermato quello più generale relativo al credito d’imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato, con un ulteriore riconoscimento consistente nella possibilità di assumere a condizioni agevolate anche sotto forma di apprendistato; inoltre per le start-up non è richiesta, per poter essere ammessa al credito, la certificazione da parte di un professionista con la qualifica di revisore legale o del collegio sindacale quando esistente.

Per concludere sul tema lavoro accenniamo anche alla struttura della retribuzione prevista per i dipendenti delle start up innovative, retribuzione che deve essere costituita di due elementi, una parte fissa ed una variabile. La parte fissa non può essere inferiore a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento per quelle mansioni ed il livello corrispondente; per quella variabile è opportuno svolgere alcune considerazioni.  Infatti il concetto di retribuzione variabile resta poco definito e non poteva essere altrimenti, essendo per forza di cose rinviato alla contrattazione  di secondo livello, oppure aziendale e anche a quella individuale. Fermo restando infatti che la contrattazione nazionale può solo eventualmente indicare i criteri a cui attenersi per la determinazione della parte variabile – e al momento non risulta affrontata questa tematica – in effetti è più concreto che tali criteri vengano determinati a livello decentrato anche fino allo stesso livello aziendale, essendo la dimensione produttiva  del lavoratore o del gruppo di lavoro più facilmente parametrabile a questo livello. A sostegno di tale direzione di comportamento va considerata anche la possibilità prevista dalla legge che la retribuzione variabile possa essere rappresentata in tutto o in parte da assegnazione di stock option o cessione gratuita di quote o azioni della società. In quest’ultima ipotesi il reddito derivante è escluso dalla base imponibile sia ai fini fiscali che contributivi; per questi ultimi, naturalmente, per quanto riguarda la contribuzione a carico del dipendente[7].

Il regime dei controlli

L’essere iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese riservato alle start-up innovative[8] dà diritto ad alcuni vantaggi, ma comporta anche l’assoggettamento a particolari controlli diretti alla sussistenza prima ed al mantenimento poi dei requisiti. Può essere interessante entrare nel merito di questi requisiti e del loro mantenimento e l’occasione ce la presenta il Ministero dello Sviluppo Economico con una recente circolare diretta alle Camere di commercio[9], di difficile digestione relativamente al linguaggio adottato, dalla quale si ricavano però utili indicazioni in ordine a detti controlli. Posto che le verifiche riguardano due momenti, quello preventivo e quello dinamico, di quello preventivo, che contiene comunque utili precisazioni operative delle quali però sarebbe troppo lungo tener conto in questa sede, sarà sufficiente dire  che gli organi predisposti dovranno accertare in maniera formale e sostanziale che siano stati rispettati gli adempimenti previsti per le società di nuova costituzione e la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per quelle già esistenti da non più di sessanta mesi ammesse alla agevolazione.  

Soffermiamoci invece un attimo sulla fase dinamica, cioè alle verifiche che le camere di commercio debbono condurre in itinere. Questa fase presentava anche un aspetto di attualità, dal momento che, secondo quanto affermava la circolare ministeriale lo scorso 18 dicembre andava ad esaurirsi lo speciale regime che interessava le società già esistenti alla data di entrata in vigore della norma. Per la verità questa sezione della circolare non ha il privilegio della chiarezza, dato che non viene definito in maniera esauriente quale sarebbe il contingente d’imprese per le quali lo speciale regime sarebbe andato in scadenza, appunto, lo scorso 18 dicembre. Si fa riferimento infatti alle agevolazioni di natura fiscale, di cui schema e contenuti sarebbero descritti nella circolare dell’Agenzia delle Entrate numero 16/E dell’11 giugno 2016. Con tutta probabilità si tratta di un refuso, poiché detta circolare numero 16/E risale all’11 giugno 2014 con riferimento alla scadenza del 18 dicembre 2016, mentre nel 2016 non è rintracciabile alcuna circolare che tratti del medesimo argomento. Era forse necessario un chiarimento, ma al momento in cui scriviamo queste note non risulta ancora uscito o forse adesso è giudicato superfluo. A proposito, poi, delle agevolazioni di natura fiscale, sia quelle a favore delle imprese, che quelle a favore degli investitori, c’è da dire che si avviano a diventare stabili, essendo state confermate e in qualche caso incrementate in occasione della legge di bilancio 2017.

Inoltre la circolare ministeriale ribadisce la necessità di verificare il mantenimento dei requisiti caratteristici, che prevedono, in primo luogo, che il valore annuale della produzione non sia superiore a 5 milioni di euro, che non sia avvenuta distribuzione degli utili, che nel frattempo la società non sia stata quotata. Un particolare controllo poi dovrà essere esercitato in relazione ai tre requisiti precedentemente richiamati, di cui all’art. 25, comma 2, lettera h), tenendo presente che non è tassativo che venga mantenuto sempre lo stesso requisito, ma che sia possibile variare il requisito prescelto, restando fermo che almeno uno di essi deve sempre sussistere. Infine – ma solo per le start-up innovative a vocazione sociale – sarà verificato che sia stato presentato il documento di descrizione dell’impatto sociale.

Start-up e capitale di rischio

Facciamo ora cenno, brevemente, all’evoluzione della normativa e della prassi intervenuta in materia di disposizioni finanziarie e di strumenti operativi per la raccolta di capitale di rischio a favore delle start-up innovative. Fin dall’assetto originario si faceva riferimento  ad investitori per iniziativa privata, ma anche alla nuova istituzione del portale per la raccolta. Agli investitori per iniziativa privata, soggetti individuali oppure società di persone o di capitali che fossero, era permesso di beneficiare di particolari detrazioni o deduzioni d’imposta, con articolata misura e modalità, a valere per i periodi d’imposta dal 2013 al 2016 (e adesso, come abbiamo visto anche per gli anni successivi) per i soggetti sia Irpef che Ires, benefici stabiliti in misura più vantaggiosa per gl’investimenti effettuati nelle start-up innovative a vocazione sociale. L’operazione può essere effettuata sia direttamente, sia attraverso un organismo d’investimento collettivo del risparmio, cosiddetto in sigla OICV, oppure anche per il tramite di una società di capitali avente per oggetto prevalente la partecipazione finanziaria a start-up innovative.

La Consob, con apposita delibera del 26 giugno 2013, ha istituito il registro dei gestori dei portali, cioè delle piattaforme on-line che hanno come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta dei capitali di rischio da parte degli offerenti. Il relativo regolamento è stato adottato con la medesima delibera Consob poi successivamente modificato e integrato con delibera del 24 febbraio 2016. Tale sistema di finanziamento, operante come detto attraverso portali informatici, è noto sotto il nome di crowdfunding, che in italiano può tradursi pressappoco come investimento collettivo, un processo più generale ed ampio di cui gl’interventi a favore di start up innovative costituiscono solo una sezione e per di più recente. Nella maggior parte dei paesi è generalmente libero, mentre la Consob fa notare che l’Italia è il primo paese d’Europa ad essersi dotato di un assetto regolamentare specifico.

Per finire

Vorrei infine concludere queste note con un segno di ottimismo. La critica più diffusa che viene rivolta al sistema delle start up, con particolare riferimento all’esperienza del nostro paese, è che non abbiano la capacità di poter crescere, restando limitate alla loro dimensione medio-piccola; del resto, ponendo l’attenzione a programmi di lavoro che si basano sì sulla ricerca e lo sviluppo dell’innovazione, ma anche sulla capacità e sulla qualifica in un certo senso élitaria delle risorse umane impiegate, è difficile poter pensare ad una evoluzione di massa del business e ad un suo progressivo posizionamento verso una dimensione industriale. Il rischio allora è, come è stato affermato, che i giganti della tecnologia si mangino le start up oppure che progressivamente tolgano loro il terreno.

Eppure i numeri non parlano propriamente così: un recente studio della Banca d’Italia osserva che tra le startup innovative che hanno iniziato la vendita si registrano tassi di crescita del fatturato e dell’attivo più alti rispetto alle altre imprese e inoltre che risulta significativamente più elevata (di oltre 15 punti percentuali) l’incidenza sull’attivo delle attività immateriali che, includendo le spese sostenute per ricerca e sviluppo, marchi o brevetti, sono tipicamente correlate al grado di innovazione delle aziende. Sicuramente emerge dal citato studio che un ruolo determinante è assolto dalle agevolazioni introdotte per la raccolta dei finanziamenti, però, come sostiene il ministro Calenda nella sua introduzione della già citata relazione annuale al Parlamento sul tema in questione, è un fatto anche che si è voluto venire incontro ad una “nuova generazione di imprese, che può lasciare il segno non solo da un punto di vista culturale, ma anche e soprattutto economico, perché grazie alla sua attitudine all’innovazione tecnologica e alla sperimentazione di nuovi modelli di business, nel lungo periodo stimolerà un incremento nei livelli di produttività, di competitività ed efficienza dell’intero tessuto”.




[1] Magari anche al netto di un certo dibattito in corso sulla loro natura e funzione nella dinamica attuale. Ne ha scritto recentemente in proposito Arrigo Panato in http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/10/29/startup-era-finita-pmi-dinamiche/?uuid=96_vDPXUSS5
[2] Si vedano in questa stessa rivista n. 39/2012 e n. 12/2013 i miei articoli Le start-up innovative e Postille alle start-up innovative, nonché Start up innovative. Brevi appunti per cominciare: il business plan in http://ionis56.blogspot.it/2013/01/start-up-innovative-brevi-appunti-per.html
[3] In precedenza il termine ex ante era di 48 mesi, modificato successivamente per effetto del coordinamento con il Decreto Legge 3/2015
[4] Sentenza Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio n. 10004/2017 del 2 ottobre 2017
[5] Parere n. 147538 del 22 agosto 2014, confermato con analogo messaggio n. 155486 del 4 settembre 2015.
[6] Citiamo a titolo esemplificativo la relazione del ministro Calenda per l’esercizio 2016, in cui nel’analisi della forza lavoro, soci e addetti, si afferma che “per dipendenti si intendono tutti coloro in possesso di un contratto a carattere subordinato con l’azienda, inclusi i lavoratori part-time e stagionali” e che “il dato non comprende i lavoratori con partita Iva”. Vero è che nel documento e nella statistica ivi contenuta non figurano neppure le collaborazioni, le quali però sono riconosciute dai citati messaggi dello stesso Ministero, sia pure datati anteriormente alla relazione Calenda.
[7] Disposizione introdotta con DL 25 giugno 2008 n. 112, convertito con Legge 6 agosto 2008 n. 112. Si veda in proposito circolare Inps n. 123 del 11 dicembre 2009.
[8] Ed anche alle PMI innovative delle quali non ci occupiamo in questa sede.
[9] Circolare Ministero dello Sviluppo Economico n. 3696/C del 14 febbraio 2017